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-Che cos’è?

Con il nome «Blue Whale» si identifica una sorta di assurdo rituale che ha lo scopo di condurre qualcuno, prevalentemente un giovane, debole e depresso, verso il suicidio. Una sorta di gioco online a cui si decide di partecipare volontariamente postando un messaggio con l’hashtag #f57 che porta all’immediato contatto in forma privata con un «master» che sottopone un elenco di prove ben precise. Il master sarebbe in possesso di informazioni personali che in caso di disobbedienza porterebbero a ritorsioni violente sulla famiglia del «giocatore». Le presunte, ma decisamente tutte da confermare, morti dovute a questo assurdo gioco sarebbero oltre 130, con casi che si concentrano in Russia, ma si estendono anche al resto del mondo. A rinvigorire la storia ci sarebbe anche l’arresto di Philiph Budeikin, ragazzo russo che si sarebbe dichiarato colpevole di aver portato al suicidio un numero imprecisato di persone. Il nome Blue Whale si ispira alle balene e alla loro pratica di spiaggiarsi e morire senza alcun apparente motivo.

-Da dove nasce?

Blue Whale galleggia nel mare di storie dell’orrore e leggende metropolitane che vengono narrate e conservate in quegli angoli della rete più inclini a mostrare immagini violente e disturbanti. Di solito vengono chiamate «creepypasta». Il nome è una crasi storpiata “cut and paste”, ovvero l’atto di copiare e incollare un testo per diffonderlo nei forum e «creepy» che in inglese vuol dire «inquietante».

-Primo contatto

Blue Whale emerge per la prima volta nel 2016 in un articolo del sito russo Novaya Gazeta a cui si rifanno tutti i siti che ne parlano oggi, che racconta di decine di ragazzi che si sarebbero suicidati nell’arco di sei mesi. L’articolo è perfetto per una condivisione poco attenta ed estremamente virale: le informazioni sono in russo, quindi difficilmente verificabili e contengono un grado di morbosità che ne aumenta le letture, dunque si diffonde a macchia d’olio. Secondo il sito alcuni dei suicidi facevano parte di gruppi su VKontakte, il più diffuso social network russo.

 

-Philip Budeikin

Ogni mitologia per alimentarsi ha bisogno di un cattivo. In questo caso parliamo di Philip Budeikin, un ragazzo arrestato nel 2016 che ha confessato di aver spinto al suicidio persone che riteneva «rifiuti biologici». La sua intervista risale all’anno scorso, il motivo per cui questa notizia sia spuntata fuori oggi come se fosse recente è legato ai meccanismi «virali» dell’informazione moderna che rende importanti avvenimenti dopo molti mesi solo perché un media si accorge improvvisamente che esistono e cerca di sfruttarne la morbosità e la carenza di fonti verificabili per costruirci una bella storia. Budeikin ha dichiarato di aver spinto al suicidio 17 persone e che f57 non ha alcun significato nascosto, sono semplicemente la prima lettera del suo nome e le ultime due del suo numero di telefono. Al momento accertare la veridicità della vicenda e l’eventuale svolgimento di un processo a carico di Budelkin non è facile, ciò che è certo è che la notizia non è di queste ore.

-In conclusione

La vicenda Blue Whale è il classico esempio di quanto la cautela sia necessaria nel riportare una notizia presa dal Web, che una volta fatta circolare rischia di trasformarsi in un boomerang. Le fonti sono spesso confuse, contraddittorie o volutamente criptiche perché fanno parte di un gioco e di una sottocultura volta a creare un alone di mistero attorno a qualcosa che ha basi molto meno solide di quanto pensiamo, in cui una vera tragedia può confondersi con una foto piena di sangue finto. La parte più surreale della vicenda è come da una leggenda metropolitana si sia passati allo sfruttamento commerciale, rendendo verità un mito di Internet e portando i media di tutta Europa a parlare di un presunta nuova moda tra i giovani. D’altronde le caratteristiche c’erano tutte: disagio giovanile, l’Internet cattiva, notizie difficili da verificare. La verità molto probabilmente è che in Blue Whale c’è molto meno di ciò che siamo portati a credere e che purtroppo la suggestione e l’emulazione giocano un ruolo fondamentale in questi eventi mediatici che esplodo all’improvviso. Ci troviamo di fronte a uno di quei casi in cui il racconto si è fatto verità grazie alla voglia di alcuni di giocare con la mente di persone particolarmente vulnerabili, per questo è importante parlarne con correttezza e senza giungere a facili conclusioni e senza ammantare il fenomeno di un fascino proibito che potrebbe attrare emulatori e malintenzionati. Ormai qualunque cosa può essere o non essere Blue Whale, ma rimane una parola, e le parole hanno potere solo se glielo diamo noi.

FONTE: Corriere della sera, Lorenzo Fantoni

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